L’intervista su LAB 2.0

Un futuro di bambù per l’architettura. Intervista a DFG Architetti

Tre giovani architetti italiani tra i vincitori del concorso internazionale “Singapore Bamboo Skyscapers”. Scopriamo con loro cosa vuol dire fare architettura in bambù.

D: Come sappiamo vi siete classificati tra i vincitori del concorso “Singapore Bamboo Skyscrapers”. Come è nata la vostra idea progettuale? E quali sono state le difficoltà nell’approcciare ad un materiale come il bambù, sicuramente inedito per la cultura architettonica italiana e occidentale?
R: Il nostro progetto, così come ognuna delle nostre idee, nasce dalla meticolosa osservazione del contesto nel quale il prodotto architettonico andrà ad inserirsi. La responsabilità è tale da imporci un lunghissimo periodo di studio che spazia dalla storia del luogo all’analisi climatica / ambientale, dal panorama culturale al know-how tecnologico, dagli aspetti sociologici al trend economico, dallo stile di vita alle tradizioni architettoniche. Insieme al contesto, valutiamo anche le aspirazioni della committenza, esplicite ed implicite, che in questo caso mirava ad un progetto fortemente innovativo che potesse aprire la strada a future sperimentazioni e ricerche. Abbiamo quindi ideato un sistema di percorsi, di verde e di edifici che potesse fondersi col tessuto urbano di Singapore e sfruttare al meglio le condizioni offerte dal sito, risolvendo un importante vuoto urbano; allo stesso tempo abbiamo pensato ad un design fortemente contemporaneo, dinamico e che rispecchiasse i caratteri della frenetica metropoli orientale. Per quanto riguarda l’introduzione del bamboo, abbiamo colto l’occasione offerta da questo concorso per approfondire le nostre conoscenze su questo materiale, indagando il suo possibile utilizzo, già ampliamente conosciuto ed impiegato nelle architetture orientali – anche contemporanee – in una tipologia apparentemente incompatibile: il grattacielo. La nostra ricerca si è focalizzata sulle possibilità di impiego anche a livello strutturale del bamboo, che si è rivelato il tema più difficoltoso di tutto il nostro lavoro e che ci ha portato a studiare le proprietà meccaniche, i dettagli tecnologici, le notevoli caratteristiche di lavorazione e le infinite combinazioni morfologiche e di aggregazione, senza però trascurare le esigenze di salubrità, sicurezza e design. La “messa a sistema” tutti questi input ci ha permesso di arrivare a qualcosa di inedito ed innovativo, una cellula strutturale “a gabbia”, collegata tramite delle molle alla spina dorsale in acciaio del grattacielo, e combinata alle altre con infinite possibilità di aggregazione. Questa idea supera anche l’incognita principale del bamboo, cioè la deteriorabilità nel tempo che ad ora non è ancora stata stimata, dato che ogni singola cellula può essere smantellata e sostituita grazie a sistemi di dislocamento verticali contenuti nel nucleo del grattacielo.

D: Quanto ritenete importante per il percorso formativo di un giovane progettista partecipare ad iniziative di questo genere?
R: Queste competizioni risultano essere un vero e proprio investimento a lungo termine in quanto solitamente non prevedono premi in grado di ricompensare il tempo impiegato. Sfide di questo genere possono essere molto difficili ed intense, intanto perché ci si scontra con temi poco conosciuti, in secondo luogo perché bisogna investire molto tempo nelle ricerche, ma soprattutto perché bisogna arrivare ad un’idea innovativa senza precedenti, che possa rappresentare un nuovo punto di partenza o semplicemente un nuovo stimolo per il progresso in campo architettonico. Tuttavia l’impegno nel campo della ricerca permette di svolgere al meglio ed in maniera più “aperta” la professione e i lavori quotidiani, riserva il privilegio di far parte di una comunità di professionisti impegnati sulle nuove frontiere e sui nuovi scenari futuri dell’architettura e costituisce un’opportunità di crescita intellettuale e professionale unica.

D: Il bambù, come altri materiali naturali da costruzione (legno, paglia, terra cruda) può davvero essere punto di partenza per un’architettura più sostenibile? E soprattutto quanto il materiale incide sulla forma e la struttura architettonica di un’opera?
R: I materiali impiegati incidono pesantemente sulla forma, alcuni più di altri, e devono essere considerati fin dall’inizio del processo creativo, perché ciascuno di essi ha le proprie caratteristiche e potenzialità, ma presuppone anche determinati sistemi tecnologici e impone dei vincoli a livello formale e strutturale. I materiali a cui oggi volgiamo l’attenzione come la paglia e la terra cruda hanno dei costi, in termini energetici, nettamente inferiori ai materiali attualmente impiegati ma sono ancora lontani dalla nostra cultura e non è ancora diffuso il know-how necessario e la manodopera specializzata in grado di usarli, problema a cui si ovvierà con l’opportuna sperimentazione e collaudo nel tempo. Il bamboo, ascrivibile a questa nuova categoria, è un materiale straordinario che apre incredibili scenari per il futuro: è reperibile in grandi quantità a bassissimi costi, grazie alla sua velocissima crescita; è straordinariamente resistente e leggero, adatto a costituire l’ossatura anche di grandi edifici, perfino di un grattacielo se opportunamente combinato con una struttura principale di acciaio; è modellabile durante il periodo di crescita al fine di ottenere qualsiasi curvatura oppure per intrecciarlo in più fusti; offre la possibilità di lavorarlo in infiniti modi, perfino in lamine o pannelli, e può dunque impiegarsi in ogni campo, dalle pavimentazioni e ai rivestimenti all’arredo e al design. Siamo in molti a sostenere che il bamboo potrà essere uno dei protagonisti del futuro dell’architettura.

D: Un’ultima domanda. Voi avete avviato da alcuni anni uno studio a Roma e a Ragusa. State lavorando molto. Pensate davvero che sia possibile sostituire i materiali tradizionalmente utilizzati in edilizia (acciaio, calcestruzzo) con materiali naturali e che al momento risultano quasi inediti? Di conseguenza quanto è concreto il lavoro che avete fatto per questo concorso e quanto si rivelerà, invece, solo un semplice esercizio progettuale?
R: Qualsiasi tipo di innovazione incontra necessariamente una resistenza, più o meno forte a seconda del mercato e del sistema che si vuole modificare. Portare una novità, anche se offre oggettivamente dei vantaggi immediati, ha bisogno di un certo periodo di tempo per potersi inserire in un sistema complesso di equilibri come il mercato dell’edilizia. Inoltre è prima necessario diffondere la conoscenza e la cultura tra i progettisti e i tecnici, così come è propedeutica la nascita di aziende che, parallelamente all’attività che svolgono, investano anche in questi nuovi materiali e che costruiscano degli organi tecnici interni in grado di dialogare con i progettisti. E’ un processo lento a cui noi crediamo, e a cui abbiamo cercato di dare il nostro apporto con la nostra ricerca. Indagare campi sconosciuti è un impresa molto complessa, e deve muovere i primi passi attraverso una progettazione “visionaria”, svincolata da ciò che sappiamo, amplificando al massimo la creatività e l’immaginazione, che per quanto possa sembrare effimera è al contrario il risultato di un grande sforzo creativo ed intellettuale.

– Lorenzo Carrino

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